AVVENIRE DEL 18/01/2015
Quali risposte al cattolico gay che non si accetta?
MAURIZIO PATRICIELLO
Cercare, indagare, amare la verità. Si può. Si deve. È una necessità. Un obbligo. Siamo
tutti 'liberamente condannati' a farlo. Anche se dovesse costarci la vita.Mancavano pochi
minuti allo scoccar edella mezzanotte di Natale. La chiesa era stracolma, il coro al
completo, l’ incensiere acceso. Io mi attardavo in confessionale. La fila era ancora lunga,
ma il tempo ormai non c’era. Stavo per alzarmi per la concelebrazione quando lo sguardo
si fermò sulla prima persona che non avrei potuto confessare. Gli avrei chiesto scusa e lo
avrei invitato a ritornare l’indomani. Mi accorsi, però, che era un volto sconosciuto, un
giovane mai visto prima. Attimi di incertezza. Che fare? Gli feci cenno di farsi avanti. Si
avvicinò, ma, strano, non parlava. Tirannia del tempo non sempre amico. Compresi che
era imbarazzato. Sorridendo lo incoraggiai. Dal coro, intanto, arrivano le prime note del
canto di Natale: «È nato alleluja, è nato il sovranobambino …». Alzò la testa e mi fissò:
dagli occhi gonfi un fiume di lacrime gli scendeva per le guance. «Sono omosessuale,
padre. Sono omosessuale e non voglio esserlo …». Non c’era tempo, la mezzanotte era
già scoccata. Dal confessionale riuscivo a vedere il parroco che, impaziente, mi faceva
segno di muovermi. Gli strinsi la mano sulla spalla e indicandogli i ragazzi che cantavano:
«Tante cose non le so, ma una cosa è certa: se Cristo è nato, è nato anche per te. Non lo
dimenticare mai … ». Scomparve, non l’ho più incontrato. Questo giovane sconosciuto
non è l’unica persona a piangere sulla sua situazione, a vivere con disagio la sua
condizione. A desiderare di vedere in armonia la sua sessualità fisica, con quella
psicologica e affettiva. Queste persone meritano rispetto e vanno aiutate. Senza alcuna
riserva mentale - politica, ideologica o religiosa - dobbiamo chiederci se è possibile
indicare loro una strada per uscire da questo disagio esistenziale. Parlare dei fratelli
omosessuali vuol dire immergersi in un mondo variegato e tante volte sconosciuto. Come
sempre occorre armarsi di pazienza, di competenze, di umiltà. Guai, però, a voler
appiattire un dibattito che merita attenzione e rispetto per tutti, compresi coloro che si
sentono come imprigionati in una situazione che non accettano.
All’Organizzazione mondiale della sanità chiediamo: è possibile aiutarli? È possibile per
uno psicoterapeuta indicare loro un cammino alternativo senza rischiare di essere
sospeso come è accaduto allo psicologo Paolo Zucconi? È pensabile un’evoluzione della
loro situazione? E poi: c’è una qualche differenza tra una omosessualità accettata, vissuta
e conclamata e orientamenti omosessuali adolescenziali? Al giovane in lacrime davanti a
un povero prete la notte di Natale, che cosa si risponde? Bisogna fare attenzione. Non mi
piace il clima artefatto, posticcio e le relative strumentalizzazioni che si stanno creando
attorno al problema dei fratelli e delle sorelle omosessuali. Temo che alla fine la caccia
agli omofobi, o presunti tali, renda un pessimo servizio a tutti: omosessuali compresi.
Occorre invece mantenere i nervi saldi e avere un grande amore per tutti, anche per quei
fratelli - e non sono pochi - che, pur sentendosi attratti verso lo stesso sesso, chiedono
con pudore, a bassa voce, di essere aiutati a uscire da una situazione per loro
imbarazzante e dolorosa.
Quali risposte al cattolico gay che non si accetta?
MAURIZIO PATRICIELLO
Cercare, indagare, amare la verità. Si può. Si deve. È una necessità. Un obbligo. Siamo
tutti 'liberamente condannati' a farlo. Anche se dovesse costarci la vita.Mancavano pochi
minuti allo scoccar edella mezzanotte di Natale. La chiesa era stracolma, il coro al
completo, l’ incensiere acceso. Io mi attardavo in confessionale. La fila era ancora lunga,
ma il tempo ormai non c’era. Stavo per alzarmi per la concelebrazione quando lo sguardo
si fermò sulla prima persona che non avrei potuto confessare. Gli avrei chiesto scusa e lo
avrei invitato a ritornare l’indomani. Mi accorsi, però, che era un volto sconosciuto, un
giovane mai visto prima. Attimi di incertezza. Che fare? Gli feci cenno di farsi avanti. Si
avvicinò, ma, strano, non parlava. Tirannia del tempo non sempre amico. Compresi che
era imbarazzato. Sorridendo lo incoraggiai. Dal coro, intanto, arrivano le prime note del
canto di Natale: «È nato alleluja, è nato il sovranobambino …». Alzò la testa e mi fissò:
dagli occhi gonfi un fiume di lacrime gli scendeva per le guance. «Sono omosessuale,
padre. Sono omosessuale e non voglio esserlo …». Non c’era tempo, la mezzanotte era
già scoccata. Dal confessionale riuscivo a vedere il parroco che, impaziente, mi faceva
segno di muovermi. Gli strinsi la mano sulla spalla e indicandogli i ragazzi che cantavano:
«Tante cose non le so, ma una cosa è certa: se Cristo è nato, è nato anche per te. Non lo
dimenticare mai … ». Scomparve, non l’ho più incontrato. Questo giovane sconosciuto
non è l’unica persona a piangere sulla sua situazione, a vivere con disagio la sua
condizione. A desiderare di vedere in armonia la sua sessualità fisica, con quella
psicologica e affettiva. Queste persone meritano rispetto e vanno aiutate. Senza alcuna
riserva mentale - politica, ideologica o religiosa - dobbiamo chiederci se è possibile
indicare loro una strada per uscire da questo disagio esistenziale. Parlare dei fratelli
omosessuali vuol dire immergersi in un mondo variegato e tante volte sconosciuto. Come
sempre occorre armarsi di pazienza, di competenze, di umiltà. Guai, però, a voler
appiattire un dibattito che merita attenzione e rispetto per tutti, compresi coloro che si
sentono come imprigionati in una situazione che non accettano.
All’Organizzazione mondiale della sanità chiediamo: è possibile aiutarli? È possibile per
uno psicoterapeuta indicare loro un cammino alternativo senza rischiare di essere
sospeso come è accaduto allo psicologo Paolo Zucconi? È pensabile un’evoluzione della
loro situazione? E poi: c’è una qualche differenza tra una omosessualità accettata, vissuta
e conclamata e orientamenti omosessuali adolescenziali? Al giovane in lacrime davanti a
un povero prete la notte di Natale, che cosa si risponde? Bisogna fare attenzione. Non mi
piace il clima artefatto, posticcio e le relative strumentalizzazioni che si stanno creando
attorno al problema dei fratelli e delle sorelle omosessuali. Temo che alla fine la caccia
agli omofobi, o presunti tali, renda un pessimo servizio a tutti: omosessuali compresi.
Occorre invece mantenere i nervi saldi e avere un grande amore per tutti, anche per quei
fratelli - e non sono pochi - che, pur sentendosi attratti verso lo stesso sesso, chiedono
con pudore, a bassa voce, di essere aiutati a uscire da una situazione per loro
imbarazzante e dolorosa.
Avvenire del 30/03/2014
GOETHE, LA DONNA, L «GENDER» NON LA SCELTA MA IL DONO
FRANCESCO D’AGOSTINO
Un errore frequente che commettono coloro che parlano della teoria del 'gender' è quello di ritenerla una teoria com-patta, coerente, strutturata. Non è così: sotto l’etichetta del 'gender' si accumulano (e un po’ nascondono) diverse visioni antropologiche, spesso persino contraddittorie tra loro, quasi sempre argomentate male e frettolosamente, tutte fragilissime, sia dal punto di vista filosofico che sociologico e politico. Proprio per questo, però, criticarle è molto faticoso, perché non si sa mai, volta per volta, quale sia lo specifico paradigma oggetto della discussione. Il teorico del' gender' che ci ha sfidato, ad esempio, a confutare il paradigma A è in genere abilissimo, di fronte a una confutazione efficace, a provocarci nuovamente, sostituendo come un giocoliere il paradigma A, non più utilizzabile, con il paradigma B, C o Z, e riattivando una discussione defatigante tanto quanto infruttuosa. Ecco perché da un po’ di tempo, quando sono coinvolto in un dibattito sulla teoria del 'gender', uso un argomento trasversale rispetto a quelli usati comunemente e, almeno all’apparenza, stravagante: quello dell’ eterno femminino, citando l’ultimo verso del Faust di Goethe: « das Ewig-Weibliche zieht uns hinan », e cioè «l’eterno femminino ci spinge verso l’alto». Naturalmente nessuno capisce sulle prime il senso della citazione, ma almeno il dibattito sul 'gender' può essere fruttuosamente rimesso sul binario giusto. Il verso di Goethe non solo è bello, ma incredibilmente preciso. Afferma qualcosa di molto forte sull’identità sessuale umana. Ci spiega che è proprio dell’essere umano (del Mensch , maschio o femmina che esso sia, giovane o vecchio, forte o fragile) il desiderio di tendere sempre verso «l’alto», assumendo la statura eretta, amando la luce piuttosto che le tenebre, sentendo il fascino della novità e la noia della ripetizione, adorando la vita e aborrendo la morte. Ma l’essere umano non ha e non trova in se stesso la forza necessaria a dare a questa sua aspirazione profonda un orientamento stabile e garantito. Ha bisogno di un aiuto. E questo aiuto lo troviamo nei recessi più profondi della nostra psiche, del nostro animo, del nostro io, quando da essi emerge la parola donna nel suo significato archetipico, cioè per l’appunto eterno. È il femminile che ci orienta verso l’alto, perché è la donna (e non l’uomo) colei che custodendo la vita nel suo grembo esprime la forma di amore più analogabile, per noi, a quello che Dio nutre per le sue creature.
È in questo senso che ogni donna, nessuna esclusa, opera sempre per spingere in avanti e verso l’alto l’uomo: ciò che la Madonna ha fatto per Gesù, Beatrice per Dante, ciò che ogni madre fa per il suo bambino, ogni amata per il suo innamorato, la vedova di Zarepta per Elia, ciò che ogni donna fa quando risponde a un qualsiasi umanissimo bisogno di soccorso le venga rivolto, è ciò che qualifica il femminile e lo eternizza, perché non dipende da contingenze storiche o culturali, da scelte di vita o da assunzioni di identità, da obblighi religiosi o da precetti morali, ma dal fatto che è la donna e la donna soltanto (e non ad esempio la creatura angelica che non ha identità sessuale) ad avere avuto in dono (da Dio per il credente, dalla natura per il non credente) questa straordinaria 'potenza' generativa, che non potrà mai esserle sottratta, nemmeno dalla sterilità biologica o vocazionale (come mostra il dolcissimo appellativo di madre col quale ci rivolgiamo alle religiose). La possibilità (sacrosanta) da parte delle donne di poter accedere oggi a qualsiasi funzione sociale in piena parità con gli uomini viene interpretata dai teorici del 'gender' come la possibilità inesausta, da parte di uomini e donne, di poter ricreare a piacimento la loro identità sessuale, banalizzandone la radice biologica, come se tale radice non esprimesse una valenza identitaria fondamentale. Di qui la duplice violenza che il teorico del 'gender' fa, anche se inconsapevolmente, a se stesso e all’ordine delle relazioni interpersonali, che ne viene stravolto e deformato. Erede arrogante e irritante, ma profondo, della tradizione ebraico-cristiana, Goethe ha visto benissimo: il 'femminile' non è scelta, ma dono, che ha il suo senso eterno nel farsi a sua volta dono gratuito, continuo e inesauribile. Quando nelle nostre preghiere ringraziamo Cristo, lo ringraziamo per il dono che ci ha fatto della sua persona, non per il dono della sua virilità. Ma quando rendiamo grazie a Maria, la ringraziamo come Madre, per il dono che ci ha fatto della sua eterna femminilità. È da qui, credo, che potrebbero riprendere con maggiore profitto le discussioni, ormai così stereotipate, sul 'gender', per aprirsi a un’intelligenza più profonda della nostra natura umana.