Le quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
LA PRUDENZA
"Prudenza" è certamente una parola equivoca, soprattutto se la si vede nel confronto tra il linguaggio corrente e quello teologico-morale. Normalmente, per noi, vivere da prudenti significa essere cauti, attenti, equilibrati. La persona prudente è quella che non si sbilancia, non corre pericoli, riflette molto prima di agire, ponderando bene i rischi e i vantaggi. Nel linguaggio teologico-biblico la "prudenza" ha invece un significato molto diverso. Essa descrive una delle quattro virtù cardinali, cioè di quelle virtù che svolgono la funzione di "cardine" nella vita morale, in quanto attorno ad esse ruotano praticamente tutte le altre virtù. Da un punto di vista strettamente biblico la prudenza evoca essenzialmente il dono della Sapienza, cioè la capacità di vedere ogni cosa alla luce di Dio, facendosi istruire da Lui circa le decisioni da prendere. Concretamente la prudenza consiste nel discernimento, cioè nella capacità di distinguere il vero dal falso e il bene dal male, al fine di agire con senso di responsabilità, cioè facendosi carico delle conseguenze delle proprie azioni. L'uomo prudente allora non è tanto l'indeciso, il cauto, il titubante, ma al contrario è uno che sa decidere con sano realismo, non tentenna e non ha paura di osare. Prudenza allora è anche vigilanza, cioè disponibilità a vivere in stato di veglia permanente per contemplare gli avvenimenti con la luce che viene dal Signore. La prudenza, così intesa, è un dono dello Spirito Santo, che nasconde la sua luce ai sapienti e agli intelligenti, mentre la rivela ai piccoli (Mt. 11,25). Per questo la prudenza viene coltivata nella preghiera contemplativa, e particolarmente nel silenzio, nel quale possiamo cogliere gli inviti, le ammonizioni, le guide del Signore. Senza un prolungato esercizio di silenzio non possiamo essere persone prudenti, perché spesso proprio nel parlare siamo molto imprudenti, dissennati, precipitosi. C'è bisogno oggi più che mai di persone prudenti, che abbiano il dono del discernimento, la capacità di giudicare le cose secondo Dio. Nell'epoca dei mass-media e dei molteplici messaggi che giungono da ogni parte occorre infatti molto discernimento, al fine di saper distinguere ciò che serve alla nostra crescita e ciò che invece attenta alla nostra vita in grazia.
LA GIUSTIZIA
Oggi si parla molto di giustizia, perché nel nostro tempo si sottolineano soprattutto i diritti, che spettano ad ognuno, mentre magari non ci si sofferma molto sui doveri che incombono su ciascuno di noi. La virtù cardinale della giustizia è proprio quella che regola i nostri rapporti sociali, fondandoli su un'equa distribuzione dei diritti e dei doveri. Essa è la virtù fondamentale per garantire l'ordine sociale e per difenderla si può anche morire, come hanno dimostrato le numerose uccisioni di magistrati e di difensori dell'ordine. Nel linguaggio biblico la giustizia si lega al rapporto con Dio: "Beato l'uomo che teme il Signore... la sua giustizia rimane per sempre. Spunta nelle tenebre come luce per i giusti, buono, misericordioso e giusto" (Sal.1 12). Dire "Giusto" allora equivale a dire buono, santo, obbediente alla volontà di Dio. Ecco perché Elisabetta e Zaccaria, genitori del Battista, "sono giusti davanti a Dio" (Lc 1,6), e anche S. Giuseppe è un "uomo giusto" (Mt 1,19). L'uomo è giusto quando dà a ciascuno il suo, cioè nella misura in cui riconosce i diritti di ogni persona, così come pretende che vengano riconosciuti i propri. Questo ci porta a dire che ogni uomo è portatore di diritti fondamentali che ci impongono di rispettarci tutti in nome della comune dignità di uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio. Se il metro della giustizia umana è dare a ciascuno il suo, la misura della giustizia divina non è la stessa. Se Dio dovesse dare a ciascuno quello che gli spetta, chi di noi si potrebbe salvare? Dio allora è giusto in un altro modo. La sua non è giustizia calcolata e misurata, una giustizia forense o da tribunale. La giustizia di Dio è contrassegnata dall'ampiezza del perdono e dalla misericordia. Dio è sempre pronto a perdonare i peccatori pentiti, è "lento all’ira e grande nell’amore", è "ricco di misericordia". Se vogliamo praticare cristianamente la giustizia dobbiamo perciò rifarci al modello di Dio. Anche noi dobbiamo essere affamati e assetati di giustizia, vivendo secondo lo spirito della misericordia. E per essere veramente giusti dobbiamo anche dare al Signore quello che gli spetta: la nostra lode e la nostra adorazione. Giustamente S. Tommaso colloca la virtù di religione nell'ambito della giustizia. Il culto non è qualcosa di facoltativo, ma è "dovuto" al Signore: "È veramente cosa buona e 'giusta' rendere grazie sempre e in ogni luogo a Te, Signore Padre onnipotente".
LA FORTEZZA
Una delle virtù che oggi abbiamo più bisogno di coltivare è la fortezza. Siamo infatti fragili, deboli, assaliti spesso da mille paure, indecisi, timidi. Spesso questa paura ci impedisce di compiere ciò che pure valutiamo come buono e giusto, conducendoci ad agire conformistico o facendoci guidare dal cosiddetto "rispetto umano". Quanti cristiani oggi sono privi di slancio, senza entusiasmo né forza per perseverare nel bene... Orbene la fortezza è proprio "la virtù morale che, nelle difficoltà assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene" (Catechismo della Chiesa cattolica n.1808). Essa suppone la nostra vulnerabilità, ossia la nostra fragilità. Forte può essere solo colui che sa di essere debole, conosce i propri limiti e riesce a invocare il dono della fortezza da "Colui che tutto può", in modo che appaia che questa fortezza non viene da noi, ma da Dio" (2 Cor 4,7). Per questo motivo "siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati: siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi" (2 Cor. 4,8-9). La fortezza è la capacita di resistere alle avversità, di non scoraggiarsi dinanzi ai contrattempi, di perseverare nel cammino di perfezione, cioè di andar avanti ad ogni costo, senza lasciarsi vincere dalla pigrizia, dalla viltà, dalla paura. La fortezza si oppone alla pusillanimità che, come ci insegna S. Tommaso, è il difetto di chi non raggiunge l'altezza delle proprie possibilità, cioè non si esprime nella pienezza delle sue potenzialità, fermandosi davanti agli ostacoli o accontentandosi di condurre un'esistenza mediocre. Oggi abbiamo bisogno di coltivare la virtù della fortezza, quella virtù che guidò i martiri a dare perfino la vita per difendere la propria fede. Il card. Martini sostiene che viviamo "in una società molle, flaccida, paurosa, in cui ci si spaventa di fronte alla prima difficoltà nello studio, nel lavoro, nella vita coniugale, nella vita comunitaria". Così è ricorrente la tentazione di ricercare le vie d'uscita più comode o di cedere ai compromessi, rifuggendo da tutto ciò che sa di sacrificio o di rinuncia. Come acquistare questa virtù? Anzitutto ringraziando Dio nei contrattempi, nella consapevolezza che Egli conosce il senso di quanto accade. In secondo luogo cercando il significato delle difficoltà: che cosa vuole dirmi il Signore attraverso questo fatto? Infine contemplando il Crocifisso, perché la fortezza è dono dello Spirito Santo, che nasce dalla croce. Essa ci fa pregare così: "Ti amo, Signore, mia forza, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe in cui trovo riparo, mio scudo e baluardo, mia potente salvezza" (Sal 18, 2-3).
LA TEMPERANZA
A differenza degli animali, che si autoregolano con precisione semplicemente seguendo i propri istinti, l'uomo deve imparare a regolare i suoi istinti mediante la ragione e la volontà. Se l'uomo, come l'animale, seguisse liberamente il proprio istinto, finirebbe per diventare schiavo delle sue bramosie e delle sue passioni. Occorre allora un impegno ascetico, cioè una sorta di ginnastica dello spirito, che alleni la volontà e l'intelligenza ad evitare ciò che può nuocerle loro. Quest'autoeducazione della volontà è precisamente la virtù della temperanza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che "la temperanza è la virtù morale che modera l'attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell'onestà" (N° 1809). In senso generale la temperanza consiste nella capacità di soddisfare i propri desideri con moderazione, in modo da non farsi sopraffare da essi. Quante volte ci lamentiamo perché non siamo più padroni dei nostri atti? Ci accorgiamo infatti che spesso non siamo più noi a dominare le cose che facciamo, ma sono esse a dominare noi. Abbiamo perciò bisogno di ripristinare il controllo della nostre scelte. La temperanza si collega allora all'equilibrio, all'autocontrollo, al senso dell'armonia, dell'ordine e della misura. In senso specificamente cristiano la temperanza diventa imitazione di Gesù, il quale è modello di equilibrio, perché sa essere temperante in tutti i suoi rapporti e in tutte le sue azioni. Ecco perché S. Paolo raccomanda: "Quelli che sono di Cristo Gesù, hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri" (Gal.5,24). Secondo S. Paolo esistono due tipi di uomini: quello "carnale", che vive in mezzo a gozzoviglie e impurità, lasciandosi trascinare dalle sue passioni; e quello "spirituale", che si lascia guidare dallo Spirito Santo e sa tenere insieme i desideri, gli istinti e le emozioni dentro una personalità armonica. Concretamente la temperanza si applica a tanti campi della vita: pensiamo a quanto sia importante la moderazione nel mangiare e nel bere per la nostra globale salute psicofisica; pensiamo anche all'equilibrio nell'uso dei beni materiali, e in particolare del denaro, nella consapevolezza che "l'attaccamento ai denaro è la radice di tutti i mali" (1 Tim 6,9-10); pensiamo ancora all'importanza del controllo degli istinti sessuali; pensiamo infine ai dominio dell'irascibilità, che ci aiuta a contemperare le esigenze di rigore e severità con quelle di comprensione e di perdono
CASTITA’ PREMATRIMONIALE: perché Sì?
Di Mario PALMARO
La Chiesa si ostina a proporla. Molti giovani non la capiscono. È ancora possibile spiegare le ragioni ed i vantaggi della castità prematrimoniale? Ecco che cosa dire. Anche a chi non crede.
Un giovane e una giovane si conoscono, si frequentano,-si vogliono bene. Scoprono di desiderare una vita insieme e, magari, stabiliscono che un giorno diventeranno solennemente e pubblicamente marito e moglie.
Un periodo di tempo - più o meno lungo - li separa dal momento in cui, salvo ripensamenti, si uniranno in matrimonio. Come vivere questa particolarissima stagione della vita che è il fidanzamento? Secondo la mentalità corrente, nulla di più normale che quei giovani si comportino come se fossero già sposati.
Nell'insegnamento della Chiesa, invece, soltanto il matrimonio rende lecito il rapporto sessuale tra l'uomo e la donna. Si tratta di un conflitto acutissimo tra il senso comune dei contemporanei e il Magistero petrino; il divieto dei cosiddetti “rapporti prematrimoniali” rischia di risuonare sempre meno ascoltato e compreso, al punto da suscitare perfino nei pastori la tentazione allo scoraggiamento.
Non è raro ascoltare il “lamento” di qualche parroco: “Dissuadere i fidanzati dai rapporti prematrimoniali? Figuriamoci, inutile perfino parlarne, non ci capiscono”.
Che fare, dunque?
C'è un significato profondamente umano di questo insegnamento che, ininterrottamente e ostinatamente, la Chiesa affida agli uomini di ogni tempo. Bisogna aiutare le persone a riscoprire che non si tratta di un'impuntatura moralistica - “devi fare così perché devi, perché te lo dico io” - né di un sacrificio imposto ai fidanzati per il gusto di mortificarli, né di una prescrizione formalistica priva di qualsiasi giustificazione razionale.
Come sempre quando la Chiesa insegna una verità morale, la castità al di fuori del matrimonio ha un profondo significato antropologico: è proposta perché “fa bene” all'uomo, rispetta e promuove la sua più intima natura, lo aiuta a comprendere in profondità l'essenza del matrimonio.
Proveremo dunque a offrire alcuni argomenti “umani” che possano aiutare a riaprire gli occhi sulla bellezza di questa “fatica” richiesta ai fidanzati e a chiunque viva al di fuori del matrimonio. Un piccolo prontuario per ragionare sul fatto che il “bene” insegnato dal “Papa e dai preti”, alla fine, conviene. E che il sesso prematrimoniale è, in verità, “anti-matrimoniale”.
1. Una prima constatazione di buon senso: il sesso unisce. Crea cioè subito tra gli amanti un'unione affettiva, psichica, emotiva, intima e speciale che nessun'altra relazione è in grado di eguagliare. Il sesso produce un legame, poiché il corpo parla un linguaggio che va anche al di là delle intenzioni coscienti del partner. Ora, poiché questo legame nasce più o meno consapevolmente ogni volta, più partner sessuali si hanno più il legame con ognuno si fa più debole. Il sesso prematrimoniale aumenta drammaticamente le chance di divorzio.
2. Saper aspettare irrobustisce il legame coniugale, perché il rapporto sessuale diviene qualcosa che i coniugi hanno condiviso solo l'uno con l'altro, dopo averlo desiderato senza soddisfarlo per un certo periodo. Un tempo che li ha visti cimentarsi (e cementarsi) in un impegno che implica aiuto reciproco, buona volontà “incrociata”, crescita nella stima l'un per l'altro.
3. Il rapporto sessuale prematrimoniale determina un accecante “effetto valanga”, poiché è così affettivamente forte da annebbiare la scelta della persona. Il fidanzamento è tempo di verifica della scelta, tant'è vero che si può ancora ripensarci. Ebbene, se il rapporto lascia insoddisfatti, porta a concludere che i due sono “incompatibili”, mentre magari il matrimonio potrebbe dimostrare il contrario; se, viceversa, risulta soddisfacente, maschera effettive incompatibilità pronte ad esplodere dopo il matrimonio.
4. Esiste un nesso intrinseco fra il sesso e il rapporto stabile tra uomo e donna. Dunque è innaturale creare, attraverso il rapporto sessuale, un'intimità così forte per poi romperla. Ciò avverrà a prescindere dalle intenzioni delle persone: il significato oggettivo del sesso è infatti più importante - prevale - sul significato soggettivo. Il don Giovanni impenitente può credere soggettivamente che nessun rapporto è per lui realmente importante, ma non può evitare che ciascuno di quei rapporti lasci segni profondi nella struttura più intima della sua persona. C'è un fatto inequivocabile: l'effetto unitivo automatico del sesso.
5. A questo punto, un'obiezione classica consiste nell'ipotizzare che due ragazzi abbiano giàdeciso di sposarsi, e che solo un lasso temporale “organizzativo” (la casa, il lavoro, gli studi...) li separi dal matrimonio. Perché “rifiutarsi” quegli atti che, compiuti dopo le nozze, la Chiesa considera pienamente legittimi? L'errore del ragionamento sta nella premessa: anche in casi simili, il sesso avverrebbe al di fuori di una decisione di esclusività e permanenza. Soltanto il matrimonio è un punto di non ritorno che cambia la vita. Soltanto il patto matrimoniale è cosi forte e inclusivo - come scrive il filosofo Fulvio Di Blasi - da giustificare, cioè rendere giusta di fronte a Dio e agli uomini anche l'unione corporea. La castità prematrimoniale è il percorso propedeutico alla comprensione della vera essenza del matrimonio. Non si può capire l'indissolubilità matrimoniale se si rifiuta ottusamente il valore della continenza prima delle nozze.
6. I fidanzati non hanno “il diritto” a possedersi carnalmente per la semplice ragione che ancora non si appartengono. Il sesso fuori dal matrimonio è quindi una specie di furto. Né vale a dissipare la colpa la tesi del sesso come “prova d'amore”. L'amore non si prova. Ci si crede e lo si vive, responsabilmente. Provare una persona è ridurla a oggetto.
7. La convivenza “di fatto” è, in tal senso, l'abbaglio più clamoroso per le coppie moderne: infatti, esse pensano in questo modo di “provare” il matrimonio, mentre la convivenza è tutto fuorché una prova di matrimonio, poiché manca della responsabilità di una vita altrui per tutta la vita, che è tipica solo della promessa matrimoniale. Come scrivono Arturo Cattaneo, Paolo Pugni e Franca Malagò, c'è una bella differenza tra coniuge e compagno: l'uno - da cum e iugum - è colui con il quale divido il giogo; l'altro - da cum e panis - colui con il quale divido il pane. Un conto è condividere il pranzo - esperienza aperta ai più svariati incontri - e un conto è mettere in comune la sorte e tutto se stesso.
L'amore dei conviventi è tutto tranne che libero; perché un amore libero da impegni è un controsenso.
Il motto implicito di ogni convivenza è: “fin che dura”.
8. Nonostante queste argomentazioni, resta oggi molto difficile convincere le persone che è meglio sforzarsi di aspettare la prima notte di nozze. Da un lato, gioca in senso contrario la pulsione degli istinti, che la modernità ha pensato di liquidare secondo le parole di Oscar Wilde: “L'unico modo di vincere le tentazioni è assecondarle”. Ma c'è poi un motivo più profondo: i fatti della legge morale sono molto più evidenti nel lungo periodo. Può darsi che ad alcune generazioni possa sfuggire una verità morale. Ma di fronte al lungo cammino della storia, la verità si impone: una società non casta è ricca di divorzi e povera di figli.
9. Che cosa dire ai giovani che abbiano fatto esperienza della caduta nel cammino verso il matrimonio? Di solito c'è una tacita convinzione - magari avallata dall'arrendevolezza degli educatori - secondo la quale non è possibile “invertire la rotta” una volta che due fidanzati vivano, sessualmente parlando, more uxorio: “oramai...”, quasi che esistessero persone sottratte alla potenza della grazia santificante per colpa di una scelta o di uno stile di vita sbagliato. È dovere di ogni cattolico invece proporre la verità tutta intera anche a questi fratelli, trasmettendo loro la certezza della misericordia e del perdono di Dio, insieme alla robusta convinzione dell'efficacia degli strumenti che la Chiesa mette a disposizione per “fare nuova” la vita di ognuno. Di fronte alla vertigine che oggi un giovane prova nel sentirsi proporre la castità matrimoniale, valgano sempre le parole così umane degli Apostoli di fronte alla “intransigenza” del loro Maestro: “Dunque, chi potrà salvarsi?”. E la risposta di Gesù: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19,25-26).
La parola di Dio
“Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si da alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?”.
(1 Cor 6, 18-19).
Perché non va il sesso fuori del matrimonio?
Perché è l’amore, una realtà spirituale prima di tutto, che deve crescere perché il rapporto sia stabile e fondato su Dio che è amore.
Un sacerdote risponde
Perché non dovremmo fare sesso prima del matrimonio?
Quesito
salve.
sono un ragazzo di 18 anni, mi chiamo ... e volevo farvi una domanda.
La mia ragazza, anche lei di 18 anni, è molto religiosa e ha cercato di spiegarmi perchè non dovremmo fare sesso prima del matrimonio.
Io non sono credente, ciò nonostante vorrei tentare di capire il suo punto di vista, tuttavia le sue spiegazioni mi hanno lasciato insoddisfatto.
Quindi volevo chiedervi: perchè non si può fare sesso fuori dal matrimonio a scopo ricreativo?
Attendo risposta.
Cordiali saluti
N.
Risposta del sacerdote
Caro ...,
1. proverò io a dirti perché non si può fare sesso fuori dal matrimonio a scopo ricreativo.
Premetto tuttavia che non si può fare sesso a scopo ricreativo neanche dentro il matrimonio.
Ti parlo con franchezza, lontano da ogni voglia di rimprovero o di disistima.
Ti dico subito, ma lo dico sopratutto per i visitatori, che dubito di poterti convincere non perché le motivazioni non ci siano e validissime, ma perché per capire certe cose bisogna avere il cuore libero, sgombro da schiavitù.
È un discorso analogo a quello dell’esistenza di Dio.
Tu mi dici che non sei credente. Non mi meraviglio. Anzi mi meraviglierei se tu, pensando alla sessualità nel modo che mi descrivi, potessi nello stesso tempo essere credente.
2. Sant’Agostino, che da ragazzo era più o meno sulle tue posizioni, non era credente.
Lo divenne in seguito, quando cominciò non solo a riflettere in maniera più matura, ma anche ad essere più puro.
Una volta convertitosi, commentando la sesta beatitudine del Vangelo: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8) disse che non si può vedere con cuore impuro Ciò che può essere visto solo col cuore puro.
Il primo grande problema della tua vita è quello della purezza. Della purezza con te stesso, nei confronti del tuo corpo, con i tuoi pensieri, con le tue fantasie...
Il tuo corpo non è uno strumento di libidine (mi hai capito? Spero di sì).
Ti è stato dato per qualcosa d’altro.
Mi chiederai: per che cosa?
Ti rispondo: per amare, per donarti, per renderti utile, per rendere felici gli altri.
3. Fu chiesto a un grande Maestro: dove possiamo trovare Dio?
Il Maestro rispose: nel fondo dell’anima.
Noi andiamo nel fondo dell’anima quando riflettiamo in atteggiamento di calma e di sincera ricerca.
Quando le acque di un lago sono mosse e fangose non si riesce a vedere nel fondo.
Quando invece sono quiete e limpide si vede tutto ed è una meraviglia. Si chiamano anche gli altri per godere lo spettacolo.
Così, caro N., per conoscere Dio è necessario essere miti e puri di cuore. Allora si vede tutto, si gode, se ne prende possesso. Questa è l’esperienza dei veri credenti.
4. Vengo adesso più direttamente alla tua domanda: perché non dovremmo fare sesso prima del matrimonio.
Già l’espressione è brutta: perché non dovremmo fare sesso. Sembra che la vita sessuale sia come fare la ...
Ma già nel porre la domanda è inclusa una certa visione della sessualità, la quale non va ridotta a genitalità.
Sessualità non è la stessa cosa che sesso.
Per sesso ci si riferisce alla realtà e all’attività genitale.
Per sessualità s’intende qualcosa di ben più grande.
Ad esempio, la Chiesa per sessualità intende “una ricchezza di tutta la persona - corpo, sentimento, anima - e manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell’amore”.
Il sesso lo si trova negli organi genitali.
La sessualità è scritta invece non solo in tutto il corpo, ma anche in tutta l’anima, in tutta la persona.
5. Come vedi, il significato della sessualità non consiste nel giocare, nel divertirsi, ma nel portare “la persona al dono di sé nell’amore”.
Questo dono di sé è così grande che coinvolge tutto il proprio essere: non si dona solo la genitalità, ma il proprio corpo, la propria vita interiore, la propria persona.
Ora, se le parole hanno un senso, quando si dona la propria persona, non ci si appartiene più. In qualche modo ci si espropria e si diventa proprietà della persona alla quale ci si dona.
Per questo l’esercizio della genitalità ha significato solo all’interno di un quadro in cui i gesti corrispondono alla realtà. E questo quadro si chiama matrimonio. Fuori del matrimonio, non ci si appartiene definitivamente, per sempre. E per questo l’esercizio della genitalità diventa una bugia.
6. Quello che tu intendi fare con la tua ragazza è solo il giocare con lei.
Mentre per lei, anche se magari non riesce ad esprimertelo con parole adeguate, quel gesto è carico di significato, di sponsalità, di impegno perenne.
Sente che il suo corpo non può essere preso, usato e gettato.
Lei sente che in quel gesto viene coinvolto l’intimo nucleo di se stessa.
Sente che c’è qualcosa che va al di là della superficie. Ed è l’impegno definitivo con una determinata persona.
Giustamente la tua ragazza si rifiuta di far sesso con te a scopo ricreativo perché vede con chiarezza che vorresti usare del suo corpo e della sua persona per motivi di libidine.
E avverte che l’esito di questo non potrebbe essere diverso che dal sentirsi profanata, diminuita, avvilita, deturpata.
7. Lei sente che in quel gesto è racchiuso, inoltre, qualcosa di ancora più grande, perché quel gesto di suo è procreativo.
È vero che in genere nei rapporti prematrimoniali si cerca la sicurezza mediante la contraccezione. Ma il rischio c’è sempre. Ed è un rischio insopportabile perché non si può concepire a 18 anni, prima di essersi formati intellettualmente, moralmente e professionalmente.
La tua ragazza capisce che non ci si può divertire con realtà che mettono a rischio altre persone.
Né pensa che sia ipotizzabile di risolvere un’eventuale gravidanza con l’aborto.
8. Forse la tua ragazza avverte anche che la contraccezione, che in se stessa è qualcosa di artificioso, manifesta un amore non sincero, ma fittizio: perché col gesto sessuale si vorrebbe dire all’altro che ci si dona in totalità, e con la contraccezione si esclude di donarsi in totalità (si esclude di donarsi la propria capacità di diventare padre e madre). Sicché il dono non è totale, ma solo fittizio.
9. Per ora, caro ..., mi fermo qua perché altrimenti diventerei troppo lungo.
Sarei contento di continuare con te questa conversazione.
Penso che possa interessare molti.
Mi piacerebbe sentire anche il parere della tua ragazza.
Ma il soggetto su cui ci terrei a parlarti di più è Dio.
Infatti solo dall’ordinato rapporto con Dio segue un ordinato rapporto con noi stessi e con gli altri.
Intanto colgo l’occasione per dirti che prego per te, che ti ricordo al Signore soprattutto durante la Messa.
Il Santo Curato d’Ars diceva che quando durante la consacrazione preghiamo per una determinata persona, in quel momento lo Spirito Santo manda dei raggi a toccare il cuore e la mente della persona per cui preghiamo.
Mi auguro che tu possa sentire questa dolce irradiazione e possa scoprire la realtà più bella della vita, quella per la quale vale la pena di spenderla.
Intanto ti benedico e ti ringrazio per il quesito, che manifesta una mentalità comune.
Padre Angelo